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giovedì 25 settembre 2008

Chi agisce, chi chiacchiera

Alitalia: ovvero la differenza tra chi agisce e chi chiacchiera. Tra il pragmatismo, ed ovviamente qualche compromesso, necessari in una delle trattative industriali più complesse del dopoguerra; e l'equilibrismo mediatico tutto teso al proprio tornaconto di politica interna. Insomma, tra la sostanza e l'apparenza.


Tra Silvio Berlusconi e Walter Veltroni. Nelle ore in cui la sorte della compagnia di bandiera è stata forse riacciuffata per i capelli la differenza è emersa in tutta la sua evidenza. Il capo del governo ha rinunciato ad andare a New York all'assemblea delle Nazioni Unite (dove tra l'altro Nicolas Sarkozy ha pronunciato un memorabile intervento sull'urgenza di correggere le storture del mercato dando più volte esplicitamente ragione alla linea italiana) per seguire personalmente una trattativa che sembrava naufragare.


Aveva sul tavolo i sondaggi che attribuivano le colpe di un eventuale fallimento non al governo ma all'ala oltranzista del sindacato. Ed un editoriale del Financial Times che lo esortava a fare come la Thatcher, a dare una lezione storica alla Cgil e e alla corporazione dei piloti. Berlusconi non ha ceduto a queste lusinghe, pur consapevole della popolarità immediata che ne avrebbe tratto e del credito internazionale in ambienti mai troppo teneri verso di lui.


L'obiettivo del premier resta sempre uno: mantenere all'Italia la propria compagnia di bandiera. Era un impegno e intende per quanto possibile mantenerlo.


E Veltroni? Tornato da Manhattan come se in questi giorni nulla fosse accaduto, ha subito inviato una lettera a palazzo Chigi, per segnalare la propria "costruttiva disponibilità" ma soprattutto per dettare una sfilza di condizioni e suggerimenti. Lettera ovviamente anticipata a tg e agenzie.


Desideroso di passare per salvatore della Patria, o forse per intestarsi una parte di merito in caso di successo, o semplicemente di segnalare la propria esistenza, il segretario del Pd è rimasto clamorosamente spiazzato dai fatti. Berlusconi era già molto più avanti, aveva ripreso i contatti con la Cai di Roberto Colaninno, provveduto a garantirsi la disponibilità di un partner estero (di minoranza Lufthansa o Air France), tentato di convincere i sindacati più riottosi: nell'ordine, i piloti e la Cgil.


Tutte condizioni e situazioni da verificare, ovviamente. Ma la differenza tra il fare di Berlusconi e il dire di Veltroni non poteva manifestarsi con più evidenza. Probabilmente il segretario del Pd voleva soprattutto togliere dall'angolo la Cgil di Guglielmo Epifani, suo grande elettore, probabile prossimo candidato veltroniano alle Europee. Per questo bastava una telefonata, anche da Manhattan. Il segretario democratico ha voluto però spettacolarizzare l'iniziativa: con il risultato che nessuno - a parte la cortesia - ha preso davvero sul serio i suoi tre punti. Mentre molti hanno capito che cosa ci fosse dietro.


Nelle vicenda Alitalia queste ore non passeranno alle cronache come quelle della lettera di Veltroni, ma come il momento in cui Berlusconi ha nuovamente messo in gioco il proprio nome e ruolo. Assumendosene tutte le responsabilità. Alla fine, in caso di successo ma anche se prevalessero irrazionalità ed interessi di parte, l'opinione pubblica sarà in grado di distinguere tra chi si è speso concretamente, e chi ha fatto un po' di teatrino politico.

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